CLAUDE MUTAFIAN / ԳԼՈՏ-ԱՐՄԷՆ ՄՈՒԹԱՖԵԱՆ 
(fra)
Les arméniens en Italie et les débuts de l’imprimerie
Հայերը Իտալիայի մէջ եւ տպագրութեան ծնունդը (ֆրանսերէն) 

Bazmavep 2012 / 1-4, pp. 119-139

Perché Venezia per primo? Perché Roma la terza? Perché l'Italia? Questa è la domanda che dobbiamo porci quando si guarda alla nascita della stampa armena, cinque secoli or sono. Il motivo principale sta nell'importanza storica dei rapporti italo-armeni, che furono di una ricchezza incomparabile rispetto a quelli che gli armeni hanno avuto con altre nazioni europee, a causa dell’an­ti­chi­tà dei contatti tra l'Armenia e possedimenti romani dell’Asia, della cristianiz­za­zio­ne dell’Armenia come stato e l'attrattiva di Roma che ne segue, e spe­cial­men­te a causa delle relazioni commerciali intessuti nel Medioevo con le città mer­cantili italiane.

L'Armenia e l'Impero Romano

Il primo contatto tra armeni e italiani ha avuto luogo nell’Asia Minore, quan­do nel I secolo a.C. il Re Tigran il Grande ha combattuto contro gli eserciti romani. Da quel momento, la letteratura latina ha fatto eco a diversi miti legati all’Armenia, come quello del fiume Araxes indomabile menzionato nella des­cri­zione dello scudo di Enea. Un secolo più tardi, nel 66, in seguito a un accordo romano-iraniano, Tiridate, fratello del re dei Parti dell'Iran, si recò a Roma per ricevere la corona d'Armenia per mano di Nerone, era accompagnato da un nu­me­roso seguito, e forse sarebbe il caso di pensare a questo fatto come ad una proma implantazione armena a Roma.

Uno dei suoi discendenti, Tiridate III, accettò agli inizi del IV secolo il cristianesimo in Armenia come religione di stato, prima che l'Impero Romano divenne cristiano alla fine del secolo. Questa parentela religiosa ha favorito gli scambi, e nel 387, durante la divisione del regno dell’Armenia, l’Armenia Mi­no­re, ad ovest dell'Eufrate, fu annessa all'Impero. La letteratura cita in questo pe­rio­do tanti armeni cittadini romani, come il famoso retore Prohaeresios. Il potere at­trattivo della Città Eterna non verrà mai meno da allora: limitiamoci a ricor­dare Mosè di Khoren. E' probabile che alcuni di questi viaggiatori si siano sta­biliti nella penisola.

Armeni in Italia fino al secolo XI

Durante la riconquista bizantina d'Italia sotto Giustiniano nel VI secolo, molti contingenti armeni integravano l'esercito bizantino. Uno dei due grandi ge­nerali dell'Impero, Narsete, lui stesso era armeno e diversi papiri parlano in questo periodo di un Numerus armeniorum dell'esercito bizantino; un quartiere di Classis, vicino al porto di Ravenna, veniva allora chiamato Armenia.
Il popolamento armeno si è accentuato, in particolare in Italia meri­dio­na­le e in Sicilia, dove Costantino VI nel 792 vi trasferì gli abitanti del "Ar­me­nia­kon tema". Nel secolo successivo, nel 885, Niceforo Foca installa una co­mu­nità ar­mena in Calabria. Nella storiografia bizantina incontriamo nu­me­rosi armeni di cui non si riconosc il nome ellenizzato, ma certamente quello ar­meno, ad esem­pio: Mezezios per Mjèj, Musele per Mouchègh, Symbathicios per Smbatik.
Aggiungiamo pure che san Gregorio l'Illuminatore è venerato a Nardò, Napoli e Palermo. Parte delle sue reliquie sarebbe stato trasferito a partire dal­l'ottavo secolo a Nardò, dove la sua statua domina ancora la facciata della piazza centrale. Alcuni secoli più tardi, il suo cranio fu trasferito a Napoli, nella chiesa di San Gregorio Armeno, che era decorato con episodi della sua vita.
Nel 1742 venne scoperto un enorme calendario lapidario del IX secolo, con il nome di San Gregorio e quelli di Hŕip'simê e Gayane. Quindi, c’era una pre­senza armena significativa nel più grande porto della Campania.
A Bari, un atto notarile datato 990 reca una firma in armeno, e una chiesa armena di San Giorgio viene segnalato già dal XI secolo, così come le chiese di S. Maria de Armenis di Matera e di Forenza che si può visitare tutt’oggi. Lon­tano da qualsiasi costa, Forenza merita ulteriori approfondimenti.
Nel nord Italia, due testimonianze isolate nel XI secolo possono cor­ris­pondere a piccole comunità monastiche. Si tratta di due eremiti armeni, emigrati in Italia, canonizzati poco dopo la morte e divenuti santi patroni delle loro città ospitanti: San Simeone a Mantova e San Davino a Lucca. Altri santi sono ri­te­nuti armeni secondo tradizioni difficilmenti verificabili: è il caso di Liberio di An­cona, “figlio del re d’Armenia”, secondo un manoscritto della sua biografia, e, soprattutto, a Firenze, di “S. Miniatus rex Erminie”, come si legge sotto il suo ritratto del bel mosaico che adornano l'abside della chiesa di San Miniato al Mon­te. Chi potrebbe essere il re d’Armenia, padre di "Minas"?
 
Armeni a Roma

A Roma, gli atti del Concilio Lateranense del 649 riportano un monas­te­ro degli Armeni e un monastero dei Cilicensi. Sul sito di quest'ultimo, fondato, a quanto pare, da Narsete, s’innalza l’attuale abbazia trappista delle Tre Fontane, che possiede nel suo chiostro due iscrizioni armeni, del 1267 e il 1305, che permettono di supporre una presenza armena continua.
Al Quirinale c’era una iscrizione ancora più antica, del 1246, attualmente nei Musei Vaticani. Una iscrizione armena nella Città eterna è attestata dal 1239, e la chiesa di San-Giacomo-degli-Armeni è trovava sul sito di Piazza di San Pietro. In seguito alla sua distruzione, gli armeni ottennero nel XVI secolo la chiesa di Santa Maria Egiziaca, già Tempio della Fortuna virile, scambiata nel XIX secolo con l'attuale chiesa di San Biagio.

Il periodo di Cilicia (XII-XIV secolo)

Una nuova realtà apparve agli inizi del XII secolo, nella specie di un "regno d’Armenia al di fuori dell’Armenia", che culminò nel 1198 quando il principe rubeniano Leone II divenne Re Leone I. A differenza della Grande Armenia, il suo supporto territoriale, la Cilicia, aveva una lunga costa marittima rivolta verso l'Europa. All’epoca il Mediterraneo era dominato dalle repubbliche marinare italiane, che naturalmente diedero una spinta alle relazioni armeno-ita­liane grazie ai contatti commerciali con i porti della penisola. 

Tre anni dopo la sua incoronazione, Leone I concesse un privilegio com­mer­ciale ai Genovesi, che avevano sostenuto per ottenere la corona, e pochi mesi più tardi è stata la volta dei Veneziani. Il XIII secolo vide prosperare le colonie armene, spesso dotate di "case" che fungevano da ospizi e luoghi di ra­duno: li troviamo a Pontecurone, Ancona, Venezia, Rimini, Siena, Pisa, Salerno, Orvieto, Perugia.

Il processo si accelerò nel XIV secolo, a causa del declino del regno a causa della fine della protezione dei mongoli. L'intensificazione degli attacchi da parte dei mamelucchi causò la fuga della popolazioni verso terre di cui gli abi­tanti erano familiari, cioè principalmente in Italia: Padova, Parma, Firenze, Bo­logna, Fasioli, Milano, Taranto, Faenza, Asti.

Queste colonie ricevevano spesso donazioni o lasciti. Così, nel 1341, una certa Maria Armena nel suo testamento diede un lascito alle "case armene" di Bologna, Perugia, Siena, Genova, Orvieto e Venezia. Prima ancora, nel 1308 a Genova, è su un terreno donato da un banchiere che fu posta la prima pietra della chiesa di San Bartolomeo degli Armeni. Al contrario, nel 1366, la bel­lissima Certosa di Calci è stata costruita grazie al lascito di un mercante armeno di Pisa, Mirantus [Mihran].

Dopo Roma, altre città italiane hanno posseduto delle scriptoria armene. Ricordiamo Rimini prima del 1254, Salerno prima del 1283, Perugia prima del 1301, Viterbo prima del 1302, Mantova prima del 1335, Pisa prima del 1353, Bologna prima del 1368.

Tracce armene nella letteratura

Nell'edizione 1927 del poema L’Acerba di Cecco d'Ascoli, scritto nel 1326, si legge il verso “Non come a noi gridando scorpi, scorpi”, invece la lettura cor­retta è: “Non come armini cridando sorpi sorpi”. Dove la parola sorpi cor­ris­ponde alla parola Sourp in armeno, che significa "Santo", e attesta che la ce­le­brazione della Messa armena era familiare a Firenze. L'anno successivo l'au­tore sarebbe stato torturato e bruciato vivo dall'Inquisizione. Poco dopo, Fran­co Sac­chetti, anche lui fiorentino, nei suoi racconti raffigura una dama di Sie­na, in­cin­ta, che per partorire senza dolore, acquista da un monaco un talis­ma­no la cui ri­cetta gli era stata fornita da due frati ermini.
Nel secolo successivo, il Burchiello evoca che sonerebbe il vespro degli er­mini. In un altro dei suoi sonetti, parla della zolfa, vale a dire il "mantra" degli armeni. La parola corrispondente al carattere oscuro della lingua armena, è stata presa nel secolo successivo da Benedetto Varchi: Quando alcuna cosa non s’in­tendeva, s’usava dire, ella è la zolfa Erminij.
Un'altra prova della vitalità della presenza armena in Italia è data dai nu­me­rosi riferimenti all’Armenia sparsi in vari manoscritti di Leonardo da Vin­ci. La più spettacolare è nelle "Lettere armene" del Codex Atlanticus della Bib­lio­teca Ambrosiana di Milano, del 1487. Si legge tra l'altro: Ritrovandomi io in queste parti derminia, dopo del quale si fa riferimento chiaro al monte Taurus. Questo supposto viaggio dell’autore in Armenia rimane molto controverso. Come parla altrove di Cipro e della Cilicia, non è escluso che abbia viaggiato in questa re­gio­ne, dato che spesso si continuava a chiamare la Cilicia "Armenia", anche dopo la caduta del regno. In ogni caso, Leonardo da Vinci ha avuto un costante interesse per l’Armenia.

Dopo la caduta del regno (XV-XVIII secolo)

Dal XV e in particolare dal XVI secolo in poi, questa ondata di immig­ra­zione medievale s’"italianizza", senza però, che ciò comporti la scomparsa della comunità armena nella penisola. La struttura e il profilo si modificarono, con una concentrazione in tre settori. Per quanto riguarda i due principali col­la­bo­ratori commerciali del Regno dell’Armenia, abbiamo un manoscritto copiato e miniato a Genova nel 1325, allorché non ne conosciamo alcuno a Venezia prima del XVI secolo, ma in questo periodo la Serenissima aveva definitivamente ec­lissato il suo rivale, affermando sempre di più la sua  supremazia. Genova non ha mai avuto una stamperia armena, mentre Venezia ne ha ospitato il primo al mon­do nel 1512. Duecento anni dopo, l'installazione della Congregazione Ar­me­na Mechitarista sull'isola di San Lazzaro fu l’incoronamento della prepon­de­ranza di Venezia.
Da parte sua, Roma ha mantenuto il suo fascino attrattivo, e, dopo Vene­zia e Costantinopoli divenne nel 1584 la terza città editoriale armena. La sua im­por­tanza crebbe in seguito alla creazione nel 1622 della Congregazione di Pro­pa­ganda Fide, destinato tra l'altro per i cristiani d'Oriente.
Nel XVII secolo la città di Livorno venne ad aggiungersi ai centri tra­di­zio­nali dell’ “Italia armena”. La sua creazione era puramente commerciale: alla fine del XVI secolo, i Granduchi di Toscana invitarono i mercanti orientali, in par­ticolare gli Armeni, di venire ad esercitare la loro attività. Il porto del mar Tir­reno divenne rapidamente prospero sia culturalmente che materialmente. La pri­ma stamperia armena vi fu inaugurato nel 1644 ed era la quarta in Italia, dopo Ve­nezia, Roma e Milano. La "nazione armena" di Livorno aveva il suo proprio console, e inaugurò nel XVIII secolo la sua chiesa, che fu distrutta durante la Se­conda Guerra mondiale dai bombardamenti americani.
La cultura armena in Italia aveva quindi un centro su entrambe le sponde della penisola, Venezia e Livorno. Questi due poli erano molto legati tra di loro, come pure al terzo, anche se assai lontano, l’Iran, fondata agli inizi del XVII se­colo dagli armeni della valle di Araxes, deportati dallo Scià Abbas I, nella pe­ri­feria della sua nuova capitale, Isfahan. La Nuova Giulfa - dal nome di una delle cit­tà originali sulle rive del Araxes - sede di una vasta popolazione armena, ef­fettivamente divenne rapidamente un centro commerciale tra l'Europa e l'Asia.
Le famiglie agiate fondarono dei filiali nei principali porti, e praticarono un mecenatismo culturale, in particolare nel settore della stampa. Alcuni di loro ave­vano accumulato enormi fortune in Italia, come i Mirmanian [in italiano i Mir­man] e soprattutto i Chahrimanian [alias Sceriman], proprietari di diversi pa­laz­zi veneziani tra cui l’attuale Palazzo della Regione Veneto. Così si formò, in­centrata sul triangolo Livorno-Venezia-Isfahan, una vasta rete che esten­den­dosi da Cadice a Manila, da Amsterdam a San Pietroburgo, controllava gran par­te del commercio eurasiatico. L'attività culturale di questi Ciughayetsì si rif­lette nella lista delle città dove fondarono delle stamperie: fino alla fine del XVIII secolo, vi è la Nuova Giulfa, nel 1638, Livorno nel 1644, Amsterdam nel 1660, Mar­siglia nel 1672, Madras nel 1772, San Pietroburgo nel 1781, Calcutta nel 1796. Uno dei gioielli della rete era costituita dagli sportelli in India, ed è proprio a Mad­ras che è stato pubblicato nel 1794 il primo periodico armeno nel mondo.